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Perché non esiste un "ceto medio" intellettuale?


La mia domanda dà per scontato che un ceto medio intellettuale non esista, ma credo non valga la pena di spendere molte parole per dimostrarlo. Basta guardarsi attorno per rendersi conto che questa è la poco esaltante realtà. Da una parte c'è la grande massa delle persone che non leggono o al massimo leggono un giornale sportivo oppure un libro "ogni morte di papa". Lo dicono tutte le indagini sociologiche ed è risaputo da tempo. Dall'altra parte c'è la corporazione degli intellettuali che parlano solo tra di loro, compiaciuti della torre d'avorio che li isola ma, nello stesso tempo, li fa sentire diversi e migliori rispetto alla massa. In mezzo c'è il deserto! Si potrebbe pensare che la responsabile di questo stato di cose sia la TV in quanto comunica contenuti in modo più gradevole, facile e immediato rispetto alla lettura. Se così fosse, però, resterebbe da spiegare perché in altri paesi in cui la TV è presente quanto da noi, per esempio in Giappone, le persone leggono moltissimo. Un'altra possibile causa del fenomeno è rappresentata dal fatto che da noi la scolarizzazione di massa è recentissima, quindi non ha ancora prodotto tutti i suoi effetti positivi.

Per quanto mi riguarda, comunque, voglio proporre un'altra spiegazione che, in un certo senso, ho anticipato quando sopra ho scritto "corporazione degli intellettuali". Secondo me, se la massa non legge è anche colpa degli intellettuali in quanto non si pongono il problema di farsi capire. Alcuni di loro non sanno proprio scrivere. Altri, invece, scrivono in modo oscuro perché si vergognano di esprimersi in modo facilmente comprensibile. Pensano inconsciamente, ma non tanto: "Se mi capiscono tutti vuol dire che ho detto una cosa poco profonda, poco intelligente, ovvia, quindi banale". Non ci credete, pensate che io stia esagerando? Allora ecco quanto scrive D. Fisichella nella premessa del suo libro "Il denaro e la democrazia": "Il presente saggio, che volutamente adotta uno schema linguistico e argomentativo piano e disteso, si propone.... " (la sottolineatura è mia). Capito l'antifona? Lui teme di sembrare uno scrittore che sa argomentare solo in modo piano e disteso, come se questo fosse disdicevole per un intellettuale, e sente il bisogno di avvertire subito che sa scrivere anche nell'altro modo, quello concettoso, ermetico ed ostico, cioè quello che si addice agli intellettuali "veri". È come se dicesse: "Badate bene, questa volta ho volato basso, ma l'ho fatto di proposito e mi capita solo occasionalmente. Non crediate che questa sia la mia quota di volo abituale!".

Forse la storia può aiutarci a capire perché molti intellettuali parlano e scrivono "difficile". Quando la stratificazione sociale era rigidissima, solo il farsi prete o l'eccellere negli studi - e spesso le due cose coincidevano - consentiva ai componenti dei ceti umili di salire ai livelli alti della società, con la conseguenza che le persone che ci riuscivano erano portate non a condividere con gli altri la cultura conquistata, ma ad accentuare in tutti i modi l'esclusività del loro sapere. Comunque sia, ho il vago sospetto che alcuni intellettuali scrivano in modo criptico anche per un motivo psicologico riconducibile al banalissimo fenomeno del "nonnismo". Sì, proprio quello delle caserme. Infatti pensano: "Io, per arrivare dove sono arrivato, ho dovuto sudare sette camicie. Adesso che sono nella parte alta della piramide mi rifaccio dei sudori che ho dovuto versare ai miei tempi e provo piacere nel far sudare gli altri". Perché la base psicologica del nonnismo è appunto questa. Che, poi, è la stessa base psicologica che stava all'origine della ormai dimenticata e non rimpianta festa delle matricole all'università. Pensandola in questo modo sarò pure maligno, ma non credo di essere molto lontano dalla verità.

Nel suo narcisismo l'intellettuale ha il terrore di essere considerato uno del gregge perciò prova il bisogno irresistibile di distinguersi dalla massa anche nel modo in cui scrive. Per quale altro motivo, altrimenti, un intellettuale, peraltro acuto, dovrebbe compiacersi di usare, nel 2001, una parola come "lacerto"? Non dico il suo nome perché come lui ce ne sono tanti altri e non voglio fare torto a nessuno. Ci sono anche intellettuali che non esitano a ricorrere a piccoli espedienti pur di riuscire a distinguersi. Provate a leggere "Il pensiero debole" di G. Vattimo e P.A. Rovatti. È lardellato di termini tedeschi non tradotti, in totale disprezzo dei lettori che non conoscono quella lingua. Ma forse è uno stratagemma per dare consistenza ad un pensiero oggettivamente debole. Il tedesco è la lingua madre della filosofia, certo, ma che argomento è mai questo? Allora lo studio della filosofia dovrebbe essere precluso a tutti quelli che non conoscono il tedesco? No, è la puzza sotto il naso di certi intellettuali snob che disdegnano di parlare all'uomo comune, dal quale vogliono distinguersi ad ogni costo, anche parlando il "latinorum" di manzoniana memoria.

Sia pure indegnamente, e ai primissimi gradini della scala, credo di appartenere anch'io alla categoria degli intellettuali, ma tra me e loro esiste un'antica ruggine che risale al tempo in cui, giovanissimo, cominciavo a cimentarmi nella lettura dei loro libri e riuscivo a capirne davvero poco. Tanto poco che alla fine mi ero convinto di essere stupido. Solo dopo molti anni mi sono reso conto che non lo ero poi così tanto quanto mi avevano indotto a credere. Erano loro che molto spesso non sapevano scrivere o addirittura avevano le idee confuse. E qualche volta le due cose insieme. Se penso a tutto il tempo che ho dovuto sprecare per decifrare i loro ghirigori mentali sento di nuovo salirmi dentro la rabbia. Ricordo ancora che in un libro di testo del liceo mi imbattei in questa allucinante definizione della filosofia: "La filosofia è la palingenetica obliterazione dell'Io cosciente che si immedesima e si infutura nell'archetipo-prototipo dell'antropomorfismo universale". L'autore di questa perla dovrebbe essere B. Croce, se ricordo bene, ma se anche fosse di un altro pensatore il problema non cambierebbe: spesso scrivono in maniera assurda.

Lo so, formarsi una cultura costa fatica, non ci si può arrivare leggendo i vari Bignami. Anzi, è proprio questa la fatica che si è chiamati a compiere nella palestra in cui si irrobustiscono gli strumenti del pensare. Ma che ne direste di una palestra in cui vi facessero fare gli esercizi di ginnastica e contemporaneamente vi caricassero sulle spalle sacchi da un quintale? Ebbene, è proprio quello che fanno certi intellettuali. Provate a leggere i libri di Baget Bozzo, per esempio, e ve ne convincerete subito. Quando finalmente riesci a capire il significato di certe frasi contorte, dalla sintassi terremotata, ti viene da pensare, anche qui con rabbia: "Era tutto qui quello che voleva dire?". E magari aggiungi anche una parolaccia. Cosa dire, poi, degli intellettuali che scrivono quei periodi chilometrici, lunghi decine di righe senza un punto, che assomigliano tanto ad una insalata di parole? Nel caso improbabile che non ne abbiate mai incontrato uno, cliccate qui Cantimori e buon divertimento! A dire il vero, comunque, a proposito di cripticità anche certi intellettuali stranieri non scherzano. E a volte se ne rendono anche conto, bontà loro. Ecco cosa scrive  H. K. Pribram nella prefazione del suo libro "I linguaggi del cervello":

"George Miller una volta ha osservato che per comprendere il mio modo di scrivere doveva leggere ogni paragrafo a ritroso e poi toglierne via ogni traccia di sangue. Il libro ha ancora qualche paragrafo sottosopra, ma a questo punto ho rifiutato di ottenere qualcosa di diverso da un libro tormentato".

Non si può fare a meno di pensare che il tormento maggiore è sicuramente quello al quale è sottoposto il povero lettore costretto a nuotare in quel mare di sangue  :-)

Quando si scrive in modo comprensibile e piano di argomenti impegnativi, si corre il doppio rischio di essere giudicati superficiali dagli intellettuali e pesanti dal grosso del pubblico. Secondo me, però, vale lo stesso la pena di compiere il tentativo perché non è detto che questo sia un risultato scontato. Il mio sito, per esempio, tratta di argomenti impegnativi ma in modo comprensibile, senza ricorrere al solito "psicanalese" oscuro, eppure è stato visitato da più di 150.000 persone (nota: questo era il n. che segnava il contatore molti anni fa. Poi si è verificato un errore tecnico e la numerazione è dovuta ripartire da zero. Questo solo per spiegare il motivo per il quale quella numerazione non corrisponde al valore indicato attualmente. Scrivo "semplice" ma mi piace essere chiaro).

Ma, alla fine, mi si potrebbe anche obiettare che ognuno scrive come sa scrivere. È vero ma, dopo che ha scritto, noi lettori avremo pure il diritto di dire se è stato capace di scrivere in modo comprensibile oppure barbaro! Quello che voglio, comunque, non è criticare questo o quello ma richiamare l'attenzione sul problema in sé e soprattutto gridare alto e forte che è possibile esprimere concetti profondi e difficili anche scrivendo in modo piano e disteso, ricorrendo il meno possibile ai gerghi specialistici.

Intellettuali, provateci e mandate a quel paese tutti quei colleghi spocchiosi che vi guarderanno dall'alto in basso. 

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