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Università, scuola, insegnanti


Sull'Espresso della settimana scorsa (16 ottobre 2003) è comparsa un'intervista di Roberto Di Caro a Umberto Galimberti che a mio avviso merita di avere una vita più lunga di una settimana in quanto tocca un problema di primaria importanza per il nostro paese. La riporto qui sotto sia perché la condivido totalmente sia perché apprezzo moltissimo chi non teme l'impopolarità ed è capace di lisciare contropelo anche una delle tante e potenti corporazioni che ci affliggono.

L’unica frase dell'intervista che non condivido è quella attribuita al professore Emanuele Severino: "Se si lagnano che le mie lezioni sono difficili, si arrangino". Se è vera, e io spero che non lo sia, qualifica il solito intellettuale spocchioso e sprezzante, che se ne frega di farsi capire, anzi si compiace di essere oscuro e dice: peggio per loro, si arrangino, i miei studenti! Cervello superlativo il suo, senza dubbio, ma docente miserevole. Ho già parlato in un altro articolo di questo tipo di intellettuali che io considero in parte responsabili del diffuso disamore per la cultura.

Dopo l'articolo, riporto anche una e-mail che mi ha spedito un giovane universitario per commentare l'intervista, ed anche la mia risposta. Da quello che scrive si capisce bene che non è un giovane di destra. Lo dico subito perché conosco bene i miei polli, le loro reazioni automatiche, la loro visione del mondo costruita con 1-2  idee semplicistiche, le loro accorate lamentazioni: "Ecco il RIFLUSSO, la REAZIONE che rialza la testa, il REVISIONISMO falsificatore della storia, l'OSCURANTISMO che avanza, la CONTRORIFORMA in atto!".

Io dico invece che si tratta semplicemente di persone che cominciano a ragionare con la loro testa, capaci di vedere la realtà per quello che è, finalmente libere dai filtri deformanti costruiti dalla propaganda che annebbia i cervelli. Penso anche che si tratta di persone capaci di non lasciarsi strumentalizzare dalle "forze della reazione", che indubbiamente esistono. A volerlo negare, si costruirebbe una visione del mondo semplificata e "spastica" quanto quella che imperversa da tanti anni nella nostra scuola. D'altra parte, non credo che Galimberti possa essere sospettato di coltivare simpatie reazionarie. O vogliamo cedere al solito, vecchio ricatto: "Quello che dice è vero, ma non bisogna dirlo perché favorisce il nemico" ?

Non succederà di sicuro - figuriamoci se il vociare della plebe arriva fino all'Empireo! - ma mi piacerebbe tanto che il professore Severino leggesse l'e-mail di questo universitario. Quando gli studenti sono costretti ad "
arrangiarsi" per colpa dei professori altezzosi e pieni di boria, alla fine sviluppano il tipo di convinzioni espresse da questo giovane. Ma, a parte questo, l'e-mail mi sembra che ci permetta di ben sperare per il futuro della nostra Università, anche se oggi è in mano a troppi docenti fasulli.

Per quanto riguarda il trattamento economico dei nostri docenti, poi, perché nessuno mette mai sul piatto della bilancia un dato essenziale riportato proprio dall'Espresso qualche tempo fa? In rapporto al numero degli studenti, il lavoro che in Francia e in Germania viene fatto da 1 docente, da noi viene fatto da 8 docenti! Se anche noi ci adeguassimo allo standard europeo, si renderebbero disponibili tutte le risorse finanziarie necessarie per pagare meglio i nostri insegnanti, con loro soddisfazione e senza aggravio per il contribuente.

Dopo l'e-mail dello studente, riporto anche quella che un suo assistente universitario e insegnante di scuola superiore ha spedito a lui, sempre sullo stesso argomento. Mi sembra molto interessante, esprime un malessere reale, si sente che è "sofferta" ed aggiunge ulteriori spunti di riflessione rispetto a quanto dice Galimberti nell'intervista. In particolare mi ha colpito l'accenno agli studenti della società opulenta.

Ho chiesto e ottenuto da entrambi il permesso di pubblicare le loro e-mail.

Anche ai miei quattro lettori ripeto lo stesso invito che ho già rivolto allo studente: se condividete le idee di Galimberti, fatele conoscere in giro, stampatele e fatele leggere, spedite e-mail ai vostri conoscenti. Solo in questo modo si può sperare cha alla fine qualcosa cominci a cambiare.


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Professori via da quelle cattedre

Impreparati, senza interessi e capacità educativa, poco carismatici. Un filosofo e psicoanalista traccia un ritratto impietoso dei docenti: "Molti andrebbero cacciati".

( Colloquio di Roberto Di Caro con Umberto Galimberti )

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Apriti cielo, a scrivere degli insegnanti ciò che tutti vedono! Che sono cioè malpagati, maltrattati, poco considerati da studenti e genitori, soggetti a frustrazione, stati d'ansia, attacchi di panico e crisi depressive, in una parola "burnout", cioè scoppiati. Basata sui risultati di un'indagine della "Fondazione Iard" su 1.252 docenti, dalle elementari alle secondarie superiori, l'inchiesta di copertina dell'Espresso della scorsa settimana, "È scoppiato il professore", ha scatenato un vespaio di polemiche e dato luogo a un'interrogazione parlamentare ai ministri di Istruzione, Salute e Welfare, ispirata dai cinque grandi sindacati della scuola. Doveroso, dunque, riprendere e vagliare prove a carico e a discarico: non ultima, una sequela di spezzoni d riforma della scuola che sembrano fatti apposta per impedire ai docenti di fare il loro lavoro. E giacché psiche e scuola è terreno minato, abbiamo interpellato Umberto Galimberti, uso a far brillare tutte le mine in cui si imbatte nella sua attività di filosofo, psicoanalista, e editorialista di Repubblica e tenutario di una seguitissima rubrica di lettere su "D".

Professor Galimberti, gli insegnanti la leggono, le scrivono, citano suoi brani nei titoli dei temi, si infuriano quando li critica. Scusi, ma lei ha mai fatto scuola? Università a parte, intendo.

Eccome. Medie, istituto tecnico, magistrali e liceo. Pubbliche e private. Per quindici anni, dal 1963 al 1979. Certo, da allora è cambiata l'intera antropologia, degli studenti come degli insegnanti.

E cos'è rimasto uguale?

L'assoluta assenza negli insegnanti di capacità e interessi di tipo educativo. Un tempo erano almeno in grado di garantire un'istruzione, oggi neppure questo.

Una dichiarazione di guerra. Può chiarire la differenza tra educazione e istruzione?

Istruzione è fornire un sapere, educazione è prendersi cura di processi di apprendimento individuali che confliggono con crisi adolescenziali e stati di famiglia. Infatti la scuola che funziona meglio è la elementare: perché lì chi insegna fa la mamma.

Ci pagano due soldi, replicano gli insegnanti, e pretendono che facciamo anche gli psicologi?

Male! È proprio ciò che devono essere. Un ragazzino viene lasciato dalla morosa, patisce un blocco emotivo, ha pensiero fisso, disistima di sé, e cosa vuole che faccia, che apra il libro di fisica? Non scherziamo. Aveva ragione Freud quando, nel 1910, scriveva: "La scuola secondaria non deve mai dimenticare di avere a che fare con individui ancora immaturi, ai quali non è lecito negare il diritto di indugiare in determinate fasi, seppure sgradevoli, dello sviluppo".

Facile a dirsi....

Anche a farsi. Faticoso, semmai. A Venezia, dove insegno, io passo tutti i mercoledì dalle 15 alle 19 a seguire i percorsi di inefficienza dei miei studenti che vanno male a un esame. Si ottengono bei risultati.

Mica gli farà l'analisi?

Intanto gli insegno un metodo di studio: 1. A leggere un libro. 2. Rileggerlo riassumendo per capitoli, così impari il linguaggio e la sintesi. 3. Fidarti di te e studiare i riassunti. Io l'ho imparato a vent'anni al Goethe Institut di Monaco. Ma non ho mai incontrato un insegnante che spiegasse ai suoi allievi come si studia.

Va bene, dovrebbero essere psicologi e non sanno né vogliono diventarlo. E poi?

Gli studenti imparano per fascinazione, per coinvolgimento emotivo. Lo sapeva già San Paolo: "Non si accede alla verità se non attraverso un contesto l'amore". Vale per fisica o biologia, mica solo per le scienze umane. Dunque, se un professore non è carismatico non può trasmettere alcun sapere: mi spiace, ma la cultura adolescenziale funziona così.

Cosa gli facciamo, l'esame di fascino?

Test di personalità, certo. Capacità comunicative e di comprensione. Per vedere se è abbastanza forte da reggere sessanta occhi su di lui e se è capace di seguire il percorso psicologico di un ragazzo.

E la preparazione?

Certo, conta anche quella. Ma per come la valutano adesso, voto di tesi ed esame di abilitazione, tanto vale lasciar perdere.

Test di personalità, lei dice. Ma quali? Ce ne sono dozzine. E poi chi valuta?

Mi rendo conto delle difficoltà. In alternativa, uno lo si può far insegnare due anni e poi vedere se è bravo o no: come parla, spiega, interloquisce. In una ditta si capisce dopo tre settimane chi vale e chi no: non si sa perché si sa, ma si sa.

Chiedere un giudizio gli studenti, come già fanno in alcune scuole?

Perché no? Se un professore è bravo, gli studenti lo dicono. All'università siamo ogni anno sottoposti al responso di 100 domande rivolte su ciascuno di noi agli studenti: peccato che non sia prevista non solo la licenziabilità del docente bocciato, ma neppure la pubblicità del risultato: resto tutto nel cassetto del preside. Certo, non può essere l'unico criterio. Come disse Emanuele Severino: "Se si lagnano che le mie lezioni sono difficili, si arrangino".

E chi dovrebbe giudicare? Una commissione di psicologi?

No, lasciamoli perdere, troppo specializzati. Meglio altri colleghi, riconosciuti bravi. Il punto è che non puoi mandare in malora una generazione per conservare il posto a qualche professore.

Scusi, ma su 100 insegnanti quanti ne salva?

Ah, oggi un allievo è fortunato se, nel pool di 9 docenti di una secondaria, ne trova uno in grado di fargli da modello nella fase in cui esce dalla famiglia e deve costruirsi un'identità attraverso il riconoscimento di qualcuno all'esterno. Questa operazione di riconoscimento è il compito dell'insegnante. Se fallisce, il ragazzo va a costruirsi la sua identità nel gruppo, nel bullismo, nelle mode, altrove.

Licenzierebbe i docenti con una personalità giudicata inadeguata a educare?

Certo che li caccerei: se sei alto un metro e cinquanta non puoi fare il corazziere. Si salverebbero anche le loro biografie, tanto si mettono in mutua per malattia. C'è chi ha l'anima grande e comprensiva, chi rattrappita e ossessiva. Se si ammalano psicologicamente vuol dire che la loro psiche non regge la situazione: non sono adatti a fare quel mestiere.

L'indagine IARD elenca una "lista dei dolori" dei professori....

Sì, l'ho vista. 55 su 100 lamentano il mancato riconoscimento sociale: non avrei dubbi, sono quelli che hanno sbagliato mestiere. Se sei bravo, il riconoscimento c'è l'hai, i genitori ti apprezzano e gli alunni ti stanno dietro finché non hai ottant'anni o finché non li cacci.

Forse intendono riconoscimenti della società...

Può darsi. Ma di cosa si stupiscono, visto che la scuola è percepita come noia e depressione? Di nuovo, però, serve il dato di personalità, non gli inutili SISS, i corsi di aggiornamento varati dalla Moratti, due anni di conferenze e buon pro ti faccia.

Lagnanza numero 2: classi numerose.

Su questo hanno ragione. Perché un processo educativo abbia luogo non puoi avere più di quindici studenti per classe.

Non meno di 30, ha decretato il ministro Moratti.

E ha così escluso la condizione di partenza dell'educazione. Complimenti!

Vivaddio, non è tutta colpa dei professori. E gli altri spezzoni di riforma varati dal centro-sinistra e dal centro-destra?

Il nuovo esame di maturità con una commissione interna è una stupidaggine: o lo fai sostenere con commissari esterni o lo elimini. Ancora: i debiti si pagano subito, non con quindici giorni di recupero a settembre. E nei crediti non rientrano dipingere, suonare, fare sport o volontariato, come ha introdotto quattro anni fa una riforma di marca veltroniana.

Terza lagnanza: retribuzione insoddisfacente. Con lo stipendio che lo Stato dà a chi deve formare le nuove generazioni, educare è opera di puro volontariato.

Sì, non possono comprarsi neanche un libro: così leggono solo quelli di testo che gli danno in omaggio. Li si selezioni con test di personalità, e li si paghi il doppio.

Quarto: conflittualità con i colleghi.

Sospetto che quei 32 su 100 siano i bravi docenti appesantiti da una massa di inutili impegni burocratici, con la sensazione di vivere tra un branco di colleghi idioti.

Quinto: difficile rapporto con i genitori.

Ah, lo credo. I genitori delegano tutto alla scuola, salvo poi iperproteggere i figli attraverso una valanga di ricorsi al Tar. E l'insegnante, Dio in cattedra per cinque ore al giorno, vive come un dramma l'ora di ricevimento dei genitori: non regge il confronto di personalità con chi è psicologicamente più attrezzato di lui.

Perché più attrezzato?

Perché il genitore vive in una società adulta, l'insegnante in un mondo infantile che inevitabilmente lo fa regredire. Per questo me ne sono andato dalla scuola: per paura della regressione. Non ha mai badato a come parlano i professori? O con il tono sentenzioso di chi pontifica ex cathedra, o con quello caramelloso dei bambini. Mai col tono normale di una persona padrona di sé.

Il 25% dichiara difficoltà nel rapporto con gli studenti.

Almeno loro un rapporto ce l'hanno. Gli altri 75 non so. Ma è difficile trasmettere sapere a una generazione che guarda sempre fuori dalla finestra, appiattita in un eterno presente, demotivata dalla mancanza di futuro, disorientata da un eccesso di informazioni non codificate via Internet e TV, povera di codici interpretativi. No, su questo esonero da responsabilità i professori: chi mai ha insegnato loro a gestire una tal ridda di contraddizioni?

La domanda è un'altra: chi e come potrebbe insegnarlo?

Forse una specializzazione universitaria in psicologia dell'età evolutiva, da frequentare dopo la propria facoltà, come per diventare chirurgo servono anni di specializzazione dopo la laurea in medicina. Per testare se l'individuo ha la necessaria vocazione, passione nel gergo laico. E fornirgli le competenze psicologiche per gestire un materiale incandescente come le vite e le emozioni degli adolescenti.

Significa bloccare per tre anni l'accesso all'insegnamento.

Significa procedere nel nostro paese alla costruzione di una classe insegnante. Compito, mi pare, non più prorogabile.


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E-mail del giovane universitario

 

Galimberti è un po' duro nei toni, ma sono totalmente d'accordo con lui. La durezza del tono è direttamente proporzionale  al suo sacrosanto risentimento. Non ho mai capito perché la selezione degli insegnanti delle scuole non venga effettuata da un'equipe di tecnici come fanno gli uffici del personale nelle aziende. Ha ragione Galimberti quando denuncia la mancanza dei test di personalità nella selezione dei docenti. È pazzesco, è la cosa più importante!

Non ci vuole molto per capire quali sono i professori capaci e quelli no. Una cosa tremenda, la più tremenda di tutte, è che non c'è più alcun professore disposto ad aprire un dialogo culturale con i colleghi. Non ci si confronta più, né in modo aspro né in modo soft. Questa denuncia arriva direttamente da una mia professoressa. Ognuno va per la sua strada. Entrare all'università o entrare alla Fiat, per loro è la stessa cosa. Allora mandiamoli in Fiat, almeno lavorano!

Una cosa sottaciuta, in questa cazzo di democrazia che ci sta rovinando con i pari diritti, è che NON TUTTI SONO PORTATI A FARE UN DETERMINATO LAVORO! Uscirtene pubblicamente con questa frase, in Italia, equivarrebbe a tirarti addosso l'accusa di imbecille, razzista, antidemocratico. E invece, per paura di questa verità e autorizzando gli inetti a svolgere ogni sorta di lavoro che non gli è congeniale, stiamo rovinando il nostro paese. E questo è un concetto che non riguarda solo la formazione della categoria degli insegnanti (categoria centrale e importantissima, anzi la più determinante), ma riguarda la formazione di qualunque categoria di lavoratori, dalle segretarie agli psicologi, ecc.

Personalmente non sono solo a favore dell'ESCLUSIONE da un determinato lavoro delle persone psicologicamente non portate ad esso (purché le attitudini e le capacità naturali vengano accertate con una valutazione oggettiva, cioè con i test creati proprio per questo scopo specifico ), ma sono a favore anche di multe e decurtazioni dello stipendio per quelle persone che si dimostrano inefficienti o non sufficientemente motivate nel lavoro che stanno facendo.

Questo secondo punto è più utopico del primo, me ne rendo conto, in quanto per valutare qualitativamente e quantitativamente le prestazioni di un lavoratore bisognerebbe creare un organismo specifico e, per come siamo conciati in Italia, questo implicherebbe la creazione di una sorta di nuova Guardia di Finanza, quindi raggirabile e manovrabile. Per cui il rimedio verrebbe a configurarsi peggiore del male. Ma il concetto, per quanto mi riguarda, rimane saldo: le persone che non hanno voglia di lavorare e di contribuire allo sviluppo di un determinato settore, dovrebbero essere stimolate a farlo. E siccome, se si parla solo di valori e di concetti astratti, non si ottiene nulla, l'unico modo per convincere davvero le persone è toccarle nei soldi: se uno lavora MALE, deve andare incontro ad una RIDUZIONE di stipendio. E non mi si obietti che bisogna EDUCARE le persone, non punirle! È vero, in certi casi le persone non sono sufficientemente addestrate per il lavoro che devono fare, ma nella maggior parte dei casi non si lavora bene perché alla gente non gli frega un cazzo di lavorare bene. Si guarda intorno, vede che può fare come gli pare, e fa come gli pare!

Senza considerare la sottocategoria delle persone che sono semplicemente stupide (sai di quante mi parla mia madre nel posto in cui lavora!), che non ha voglia di impegnare nel lavoro nemmeno la più elementare delle facoltà intellettive. Producendo così quei cortocircuiti lavorativi che incasinano il sistema. E poi magari sono le stesse persone che scioperano per avere uno stipendio più alto. Se tutto questo menefreghismo sul lavoro venisse sanzionato con pene pecuniarie - ormai il denaro è l'unico valore dell'occidente - sai come tutti scatterebbero sull'attenti? Specialmente i lavoratori pubblici.

Ma ormai sono orientato a pensare che esiste un unico problema al di sopra di tutti gli altri: in Italia c'è una classe politica che non ha il minimo orgoglio per la nazione ed arriva ormai ad una rozzezza culturale senza confini, rispecchiando nelle azioni e nelle decisioni la mentalità che si alimenta del menefreghismo e dell'interesse privato. Franza o Spagna, basta che se magna. Detto ormai universale che può essere riferito al contadino di Potenza e su su fino a Berlusconi, passando per tutte le classi sociali del Belpaese. Fin quando persisterà questo problema (un problema di MENTALITÀ), in Italia non si risolverà mai nulla.

E il problema sollevato da Galimberti, anche se fatto oggetto di un'interrogazione parlamentare, sarà per le fazioni politiche l'ennesima occasione per rimpallarsi la responsabilità invece di pensare a risolvere il problema.

Le cose che ti sto dicendo le URLEREI a tutti i parlamentari appesi per le palle e a testa in giù. Dopo questo sfogo, chiedo la tua opinione e ti saluto.

P.S. Diffonderò senz'altro l'articolo di Galimberti.

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Mia risposta

Non ho mai capito perché la selezione degli insegnanti delle scuole non venga effettuata da un'equipe di tecnici come fanno gli uffici del personale delle aziende

Il motivo è questo: nelle aziende vige il principio dell'efficienza. Nella scuola, invece, vigono ancora molti dei principi partoriti dalla contestazione studentesca del '68 la quale - per reazione alle teorie naziste del predominio del SUPERUOMO sugli altri uomini - è passata all'estremo opposto, cioè al rifiuto totale di ogni SELEZIONE dei migliori. Da qui è nato anche l'appiattimento dei salari che è stato per tanti anni il cavallo di battaglia di tutti sindacati.

A questo si aggiungeva anche la convinzione che la SELEZIONE dei migliori penalizzasse i giovani provenienti dalle classi sociali più basse. Si diceva: sono cresciuti in un ambiente povero di stimoli culturali, possiedono un linguaggio verbale ridotto, perciò negli esami sono destinati ad essere sconfitti, mentre i figli dei borghesi sono promossi, perpetuando così i privilegi di classe.

Ergo... esami di gruppo col 6 garantito e divieto di bocciare i somari. Risultato: NIENTE SELEZIONE.

Ti parlo di queste cose con cognizione di causa, primo perché le ho vissute in prima persona, secondo perché ho tre sorelle maestre che mi hanno sempre descritto la situazione deprimente che caratterizza la nostra scuola da quegli anni lontani ed anche gli scontri aspri con le colleghe che, in ossequio agli slogan del '68,  volevano promuovere tutti. Queste colleghe, oltretutto, avevano anche il sostegno delle direttive emanate dal ministero. Perciò era sempre una battaglia persa in partenza.

Il risultato di questo andazzo lo abbiamo sotto gli occhi: a forza di non bocciare i somari, i somari sono andati avanti e adesso fanno i maestri e i professori. Anche qui parlo per esperienza personale: durante un mio esame universitario, il professore ha scambiato il pensiero di Freud con quello di Rousseau! Per fortuna adesso qualcuno comincia a capire che non si può andare avanti così, ma ci vorranno decenni per risalire la china e riparare i danni già fatti. In ogni caso, nessuno collega gli effetti di oggi con le cause di ieri, cioè con gli slogan propagandistici del '68. Nemmeno Galimberti lo fa, e non capisco perché. Le idee sbagliate si possono correggere soltanto se si risale alla loro origine, altrimenti c'è il rischio che rispuntino di nuovo.

Una cosa sottaciuta, in questa cazzo di democrazia che ci sta rovinando con i pari diritti, è che NON TUTTI SONO PORTATI A FARE UN DETERMINATO LAVORO! Uscirtene pubblicamente con questa frase, in Italia, equivarrebbe a tirarti addosso l'accusa di imbecille, razzista, antidemocratico

Esatto. Sapessi quante volte mi sono attirato queste qualifiche, con l'aggiunta di FASCISTA, per avere sostenuto la stessa idea! Oggi il '68 sembra appartenere alla preistoria, ma le sue idee hanno messo radici nella testa delle persone, che adesso le professano senza più rendersi conto da dove sono venute. Questo è vero sia per le idee "buone" del '68 che per quelle "cattive". Con la differenza, però, che le prime hanno milioni di padri e madri che se ne vantano orgogliosamente, le seconde invece sono orfane.

E il problema sollevato da Galimberti, anche se fatto oggetto di un'interrogazione parlamentare, sarà per le fazioni politiche l'ennesima occasione per rimpallarsi le responsabilità invece di pensare a risolvere il problema. Le cose che ti sto dicendo le URLEREI a tutti i parlamentari appesi per le palle e a testa in giù.

Questo non si può fare, però possiamo mettere le gambe alle idee di Galimberti e farle girare il più possibile nel corpo della società, in occasione degli scambi di idee con amici, conoscenti, parenti, ecc.

Dopo questo sfogo, chiedo la tua opinione e ti saluto.

È presto detto, sono d'accordo con te su tutta la linea.

P.S. Diffonderò senz'altro l'articolo di Galimberti.

È l'unico strumento che abbiamo a disposizione, l'unica speranza di cambiare l'andazzo che caratterizza la nostra scuola di ogni livello. Non ho avuto modo di approfondire la riforma della Moratti, quindi non entro nel merito dei dettagli, ma mi sembra che almeno un pregio ce l'abbia: il tentativo di demolire finalmente alcune idee demagogiche nate nel '68.

Ciao, Romano.

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E-mail dell'assistente universitario e insegnante di scuola superiore


Si, è tutto condivisibile quello che dice Galimberti. Solo che i docenti italiani sono circa 900.000, non 10.000 o 20.000. Come si fa a trovare tutto questo personale con vocazione ai rapporti interpersonali e dove si trovano tutti questi professori carismatici?

Certo il reclutamento dovrebbe essere differente ma il marcio è alla base, è stato considerato per anni un lavoro quasi part-time, per donne che corrono a casa a cucinare e dello stipendio se ne fregano perché tanto il marito avvocato o ingegnere gli compra la pelliccia.

Condivido la questione della regressione, io faccio una gran fatica a non scivolare verso la regressione.
Alla fine prendi i loro stilemi mentali e loro sono adolescenti. In cambio ti danno affetto e tanta energia, solo che uno si chiede: ma io che ci sto a fare in mezzo a questi?

Ogni giorno mi interrogo su cosa posso comunicargli al di là della letteratura italiana, che in quel contesto
è una delle nove materie. Ma dove sta scritto che uno che è brillantemente laureato in lettere o in fisica o in inglese è anche un tipo carismatico? Come si fa a selezionare il carisma?

Ci dovrebbe essere un'auto-selezione. Uno sente di poter fare quel lavoro, ma sai quanti illusi e illuse ci sono? Non è solo questione di stipendio, è questione che stare coi ragazzini è per molti di per sé frustrante. La domanda è: ma a me che me ne viene?

E poi c'è la crisi della scuola nelle società opulente. La scuola ha senso per i poveri e per i romantici
che credono nell'accrescimento della loro personalità attraverso lo studio. Sanno che il futuro, diverso da quello dei loro genitori, dipende dallo studio. Ma chi ha già tutto, chi è viziato fradicio, chi è arrogante, se ne frega della scuola.

Cmq la ricetta è più libertà, più gioia di vivere, meno restrizioni, meno ipocrisia. La scuola è oppressiva, modellata su schemi collegiali che non esistono più, suscita sofferenza, sbandamento, solitudine. È un carcere, per certi versi. Di chi è la colpa? Della mentalità piccolo borghese di famiglie ipocrite, che
chiedono ai figli di ripetere le gesta dei padri, senza un vento di novità. È la scuola intesa come travaso di nozioni stantie, con insegnanti opachi, demotivati. È la società che ci siamo dati. Non è che in tutto il mondo è così.

Cmq è il settore pubblico italiano che non va bene. Ma poi quanti sono i medici burocrati? Sono tutti affascinanti? O per caso non stanno lì a scrivere ricette dalla mattina alla sera? E i professori universitari brillanti veramente e con carisma quanti sono? Uno, due, forse tre... pensaci e il conto si fa presto, anche lì da noi. Perché i professori di scuola dovrebbero essere tutti carismatici? Il carisma ti viene pure dalla personalità e gli italiani che lavorano nel settore pubblico sono pallosi, sedentari, arroganti, svuotati.

Fine della predicazione.

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