Come vendere il frigorifero al polo Nord

L’uomo è misura di tutte le cose misurate col metro sbagliato

Saro Jacopo Cascino

 

La drastica semplificazione del linguaggio e la riduzione del numero di termini adoperati per comunicare hanno portato ad accumulare in poche parole una tale quantità di significati da farle divenire insignificanti. Una "barca" può essere un gommone, un gozzo, un peschereccio, lo yacht di un miliardario, un qualsiasi natante che regga precariamente il mare e butti, in quello antistante Lampedusa, carne umana di colore. Pertanto non ci si può occupare di "persuasione occulta" senza operare i necessari distinguo, i quali presuppongono l’esposizione esauriente dei significati assunti nel tempo da alcune parole di uso comune. Persuadere è parola latina composta, dove per significa "sino in fondo" e suadere "convincere". Persuadere è un agire che deve identificare il persuasore e lo scopo della sua azione, il metodo con cui egli opera ed i mezzi adoperati per farlo, la natura del persuadendo e le sue caratteristiche, la condizione del persuaso e la sua permanenza nello stato di persuasione indotta.

Il detentore della Verità Assoluta è la persona e l’organizzazione che hanno il Potere, identificandosi con esso. Galileo Galilei deve "persuadere" il riconosciuto detentore della verità assoluta che lui ha scoperto una verità che farebbe vacillare quella assolutezza agli occhi del mondo. Galileo soccombe, naturalmente, assieme alla sua verità proclamata, l’unica vera perché dimostrabile e dimostrata, ma ritenuta falsa dal Potere che non può consentire la giustezza della verità di Galileo per non perdere il suo potere. Solo nel 1992, dopo 359 anni dalla sua condanna e 350 dalla sua morte (cieco), il Vicario del Verbo riabilita Galileo al quale viene tuttavia rimproverato d’aver indotto nell’errore l’Infallibile contemporaneo con un Dialogo poco esaustivo dal punto di vista teologico.

L’esercizio della persuasione è stato attuato in molti modi. Il più convincente è sempre stato quello di passare a fil di spada il non persuaso, non tanto per persuadere il decapitato, quanto i rimanenti ancora con la testa sul collo. La retorica fu un artificio assai comune, derivante dall’esperienza che il Verbo, la parola ben adoperata, ha una musica convincente ed allettante, come ben dimostrano Orfeo e Morfeo. Ma, ancor prima, nel giardino dell’Eden, Eva persuadeva Adamo, persuasa dalla voce suadente del Serpente. Fu, quella prima, persuasione occulta? Ne dubito fortemente. Non fu nascosto il movente, non fu oscuro il modo, non fu occultata la reazione di Adamo il quale, se avesse resistito ad Eva e non avesse addentato il frutto dell’albero della Conoscenza, avrebbe privato l’autore del racconto della possibilità di continuare a scrivere la sua personale versione della Storia Universale dell’Umanità. Le reazioni del Serpente, di Eva, di Adamo, sono del tutto prevedibili e scontate. Molto meno lo sono quelle dei loro discendenti attuali che vanno cercando l’Occulto nelle fiabe infantili delle quali s’innamorano, e lo chiamano Male. Personificare un astratto indefinito, per poter sostenere d’essere invasati incolpevolmente da un estraneo, è molto più comodo che prendere atto della propria miserabile incoerenza e colpevole stupidità. Ed alla fine, meglio la colpa dell’errore poiché dalla prima ci si può emendare mentre l’altro pretende l’immane fatica di correggerlo.

Tutto si complica quando l’arte della persuasione diventa mestiere. Se le truffe napoletane pretendono sfrenata fantasia e profondissima conoscenza dei meccanismi della psiche umana, la capacità di convinzione della camorra si affida alla forza bestiale della sua violenza sul territorio. Ma quali mezzi possono adottare il Potere (per conservare se stesso) ed il Mercato (per vendere) quando gli uomini siano tutti liberi, uguali e fratelli, ma soltanto sul piano formale cioè senza avvertire il dovere di esserlo veramente, rivendicando semplicemente il diritto di essere considerati tali? La lingua della persuasione allora si biforca e diventa, secondo la bisogna, da un lato Propaganda e dall’altro Pubblicità. La lingua è una, ma biforcuta. La Propaganda e la Pubblicità rappresentano un mondo stracolmo di diritti, compreso quello generale, impalpabile, alla ricerca della felicità.

Laddove gli uomini si considerino uguali, fratelli e liberi, il detentore del Potere, o chi s’accinga a divenirlo, (oltre a sniffare cocaina) si pubblicizzerà come il miglior difensore dei diritti, capace di ampliare quelli pregressi e promettendone altri futuri alla folla di uguali. Liberi questi di togliere la libertà ai fratelli che non osannano colui che la ruberà a tutti. Laddove gli uomini si considerino uguali, fratelli e liberi, il produttore di beni di consumo propaganderà i suoi prodotti (reali o virtuali) come i migliori, non eguali a nessun altro, massificando gli individui e trasformandoli in folle prive di libertà di scelta. Quanto appena detto può apparire come una presa di posizione ideologica. Io non ho alcuna intenzione di dimostrare l’esistenza del Male ed è lontanissima dalla mia mente l’idea che esso s’incarni nel Potere e nel Mercato. Credo di potermi definire un osservatore che trae dalla lettura della realtà, del mondo animale che lo circonda e di cui partecipa, le conclusioni che è in grado di trarre ed a cagione delle quali prova una profonda ammirazione per il mondo vegetale con il quale unico ha la presunzione di sentirsi in sintonia, prima di sperimentare l’ingresso in quello minerale dal quale non si sa essere tornato nessuno. Come osservatore sento il bisogno di capire il senso delle parole che analizzo, il senso che a loro viene attribuito per convenzione. Se parlo di Propaganda e di Pubblicità, ne voglio intendere il significato per intero.

  • Propaganda ha una storia etimologica piuttosto singolare. Il termine viene tratto dalla denominazione della Sacra Congregazione Pontificia "De Propaganda Fide, della propagazione della fede". La Propaganda rappresenta sia l’azione che tende ad influire sull’opinione pubblica, orientando la collettività verso determinati comportamenti, sia i mezzi con cui essa azione viene svolta. A causa della fama dell’organo al quale deve la sua origine, non sorprende che la parola abbia preso come significato estensivo, quello di "complesso di notizie destituite di ogni fondamento, diffuse ad arte e per fini particolari".
  • Pubblicità ci giunge mutuata dal francese publicité che deriva dal latino publicus affine a populus. Pubblicità è la sostantivazione dell’attività di richiamare con vari mezzi l’attenzione del pubblico su qualcosa (fatto, evento, spettacolo, prodotto etc.) predisponendo il messaggio più idoneo per il tipo di mercato al quale il qualcosa è indirizzato.

Nonostante ci si sforzi di sovrapporle e confonderle, una volta così definite, appare evidente che la Propaganda e la Pubblicità sono due cose distinte, pur facendo appello ambedue alla parte più vulnerabile dell’individuo, sia esso mistico stilita o componente di una massa, o aggregato ad una folla, poiché, anche colui che si martirizza, come Simeone il Vecchio, issandosi su una colonna e su di essa vivendo, condivide le stesse emozioni elementari degli intruppati in ordinate greggi o dei raccozzati in momentanee orde. Importante sembra a questo punto dare le definizioni comuni di Individuo, Folla e Massa.

  • Individuus: è il latino del greco atomos, il soggetto "indivisibile" senza ch’egli perda le sue caratteristiche strutturali e funzionali, inteso come singolo elemento di una collettività.
  • Folla: indica la moltitudine di persone estremamente suggestionabili addensata in un luogo.
  • Massa: latino "massa, pasta", dal greco "masso, impastare", definisce una moltitudine qualificata di persone che costituiscono un insieme più o meno organico. In sociologia la massa è l’insieme delle persone politicamente passive e dipendenti in relazione al Potere (nelle sue strutture politiche, economiche, militare). Dal punto di vista della psicologia, la massa dà vita a comportamenti fortemente emotivi, sino a trascendere in quelli del tutto irrazionali tipici delle folle.

Col capo coperto di cenere per la riduzione colpevole appena operata di un argomento di grande fascino, chiedo umilmente scusa e proseguo sulla linea principale del discorso. Essendo per motivi geografici compartecipi della cultura occidentale, legata al ceppo giudaico-cristiano, mi proverò a fare un esempio arcinoto nell’ambito di questa tradizione per esprimere la diversità esistente fra Pubblicità e Propaganda. Nel 330 d.C. si racconta nascesse a Tours, in Pannonia, tal Martino, da genitori pagani alquanto danarosi. Incorporato nella Guardia imperiale a cavallo, diventa cristiano. Non ci occuperemmo di lui se non fosse stato uno dei santi più popolari di Francia ed universalmente noto per aver diviso in due la sua cappa militare con un colpo di spada, offrendone la metà ad un povero tremante di freddo e pressoché nudo. Per questo gesto Martino incarna l’opera di carità cristiana detta "vestire gli ignudi" e ne diviene l’archetipo esemplare. Ma se un critico irriverente, come me ricercatore del pelo nell’uovo da spaccare in quattro (il pelo), si mette a riflettere sull’episodio, non può fare a meno di notare che: 1. Martino incontra per strada il povero congelato; 2. lui era a cavallo e l’altro a piedi, accasciato per terra, incapace di muoversi per il gran freddo; 3. un cavaliere della guardia imperiale, per giunta di buona famiglia, non poteva che essere ricco abbastanza per avere a casa più mantelli o potersi permettere di ricomprarsene uno militare di buona lana; 4. prima del suo gesto plateale Martino stava al caldo ed il povero al freddo; 5. le dimensioni della cappa invernale di un cavaliere romano era pressappoco quella di una coperta da letto singolo; 6. se Martino avesse regalato il suo manto intero al povero, questo sarebbe stato al caldo e lui al freddo, ma per il tempo strettamente necessario per galopparsene a casa al calduccio; 7. per amore del beau geste il cavaliere taglia a metà la cappa ed ottiene due semifreddi (non so se avete mai provato a scongelarvi con l’aiuto di mezzo plaid); 8. Martino non sopperisce ad una momentanea emergenza, infatti non cede la metà della cappa per coprirne il povero issato sul suo cavallo per portarselo a casa davanti al camino acceso, ma lo lascia per strada coperto dallo straccio imperiale; 9. nessuno riferisce la vera reazione dell’ignudo al munifico gesto del cavaliere; 10. Martino se ne va per la sua strada e non torna indietro a vedere che fine abbia fatto il povero beneficato: egli coglie l’attimo, senza occuparsi dell’efficacia concreta della sua generosità; 11. se Martino fosse stato scozzese lo si sarebbe ancora capito, ma si dà il caso ch’egli fosse francese.

La pubblicità all’episodio è quella fatta dalla nomea che spinse il Potere a commissionare le pitture di Lattanzio, Butinone, Van Dyck e Rubens, i mosaici della basilica ambrosiana, gli affreschi di Simone Martini ad Assisi, le vetrate gotiche, le sculture a Chartres e a Lucca ed un’altra infinità d’opere, d’arte o meno. La propaganda è quella fatta dalla Chiesa per convincere che in quell’atto ci fosse carità e non conclamata insensatezza.

Nella tradizione popolare francese e poi europea, Martino di Tours è il patrono della gioia disordinata, dei giocatori, dei beoni e dei mariti ingannati (leggi cornuti), e sotto i suoi auspici si spillano le botti del vino nuovo. Lo stesso santo è rappresentato ubriaco mentre somministra botte da orbi, senza misericordia alcuna. È facile comprendere che nella cultura contadina medievale non fece breccia il Martino raccontato dalla Pubblicità e dalla Propaganda che, al contrario, furono utilizzate per rivoltargliele contro. Riflettendo sulla verità dei fatti, potremmo dire che i villici ebbero le stesse reazioni degli azionisti della Cirio o di quelli della Parmalat. Il Martino che per un punto perse la cappa, è altro e rimane nei proverbi, mentre quello che perse mezza cappa, a quel punto, per l’appunto per quel punto, tutt’altro che beone compunto, fu assunto alla gloria degli altari come punto di riferimento per i fedeli e punto d’onore a favore della Chiesa (Punto!).

La Propaganda deve avere spunti per vendere e la Pubblicità punti vendita. Operato questo primo distinguo, mi asterrò dall’approfondire l’argomento della Propaganda, dove pure sembra abbia maturato una certa competenza in campo, nel tempo che diressi quella di certe Botteghe enigmatiche. Mi permetterò di manifestare alcune mie riflessioni fatte occupandomi del fenomeno pubblicitario. Qualche anno fa ho ascoltato con grande interesse una intervista ad un premio Nobel per l’economia, non a caso italiano con passaporto statunitense. Alla fine del suo elevatissimo eloquio, egli concludeva affermando che chi pretenda di comprendere gli impulsi che determinano gli andamenti del Mercato è uno stupido.

Si può bene comprendere che una pecora valga una conchiglia ed una pecora eccezionale persino due, ma non è dato sapere perché sia ritenuto ricco chi abbia mille conchiglie e non chi possieda mille pecore, a meno che non viva laddove una effimera conchiglia valga una grassa pecora. Occulto rimane poi il motivo per il quale in un determinato luogo, abitato per lo più da morti di fame, qualcuno abbia deciso, e convinto tutti gli altri a ritenere che una conchiglia sia più preziosa di mezza pecora arrostita a puntino. Se questo dovesse farci credere superiori a quei cosiddetti selvaggi, basterebbe riflettere che, da quando Nixon ha eliminato il controvalore in oro del dollaro, teniamo buona la maggioranza dei signori della guerra arabi (e non), pagando il loro petrolio con camionate di una moneta virtuale con la quale tuttavia misuriamo il valore di uomini e cose.

Sulla pubblicità sono state già dette cose così intelligenti che se pensassi di proseguire su questa strada farei la figura del presuntuoso, avendo più attitudine semmai a fare quella dello stupido. A causa di questa mia abilità, credo di aver compreso come la Pubblicità faccia leva sulla stupidità umana (lo stupore che annichilisce il pastore del Presepe guardando la Stella cometa). Per dimostrarlo sono costretto a fare appello alla stupidità del lettore. Pur sapendo di scrivere per persone di rara perspicacia, confido di riuscire a risvegliare in ciascuna quel minimo di idiozia necessaria al mio scopo, che è quello di essere seguito nell’argomentazione. Non può essere il mio fine quello di convincere alcuno, poiché colui che fossi riuscito a persuadere sarebbe, per conseguenza logica, un idiota.

Volendo vendere frigoriferi al polo Nord, avrei un formidabile argomento razionale. Mi sarebbe facile dimostrare che i cibi conservati a pochi gradi sotto zero sono igienicamente preservati dal deterioramento e più convenienti da utilizzare di quelli tenuti a temperatura ambiente, da 20 a 70 gradi sotto zero, se non altro perché è piuttosto disagevole assumere alimenti che abbiano la stessa consistenza di una clava di pietra. Ma se facessi appello al raziocinio degli Eschimesi, dovrei ritirarmi con le pive nel sacco. Mi basterà invece verniciare gli elettrodomestici con colori vivaci (escludendo assolutamente il bianco!) e convincere anche un solo Eschimese che il frigo è uno status symbol. Contando sull’invidia, riuscirei a riempire centinaia di igloo con i miei coloratissimi armadi frigoriferi. Del tutto irrilevante sarà osservare che nelle residenze invernali eschimesi non arriva l’energia elettrica e che in quei luoghi i frigoriferi non possono funzionare.

Scendiamo nel dettaglio e vediamo quali meccanismi ho messo in opera e quali reazioni ho scatenato per rendere indispensabile un bene che ai miei acquirenti non serve adoperare per l’uso per il quale esso è stato immaginato e costruito. La puntualizzazione è utile per comprendere come alla Pubblicità non basta il potere di far vendere cose inutili, ma come essa tenda a svincolare le cose dalla utilità delle loro funzioni. L’orologio serve a misurare il tempo. Se servisse a questo e a sapere con quanto ritardo arrivare agli appuntamenti per valutare il proprio grado d’appeal, basterebbe averne uno preciso che fornisse l’ora esatta. Acquistare compulsivamente l’intera collezione degli swatch da indossare secondo le occasioni, anche più d’uno per braccio, priva il cronometro del suo compito primario per affibbiargliene un altro preponderante e fittizio.

Tutti sanno cosa sia un diapason, quella forchettina d’acciaio che serve per dare il la e accordare i cantanti e gli strumenti dell’orchestra. Se si guarda il cervello umano dopo averlo estratto dalla calotta cranica, lo si può paragonare ad una castagna sbucciata dove l’achenio, privato del pericardio, presenta due grossi cotiledoni avvolti da una pellicola membranosa rossiccia. Quando si fenda il cervello umano in modo da separarne i lobi, si vede che ad un nucleo centrale se ne sovrappone un altro, a forma del seme del castagno, ricoperto da tre meningi. Approfitto biecamente del fatto di non essere un ricercatore medico e che del cervello umano si sappia meno del 10%, per chiamare il primo nucleo cerebrale "cervello rettile", il corpo sovrapposto "cervello mammifero" ed il superiore "cervello umano". Capisco che una simile banalizzazione prevede a priori l’adesione alle teorie darwiniane sulla evoluzione delle specie ma, se anche sbagliassi in tutto, non sarebbe una gran perdita per la scienza: la mia suddivisione è soltanto strumentale al discorso sin qui condotto. D’altro canto nessuno potrebbe contraddirmi se affermassi che esistono nell’uomo istinti primordiali, qualunque sia il punto del corpo in cui se ne voglia fissare la sede.

La Pubblicità è il diapason che mette in vibrazione il nostro cervello rettile, sede presunta degli istinti primordiali, capaci di annullare ogni resipiscenza e qualsivoglia senso critico. Per eccesso di zelo, preciso che il mio "cervello rettile" è quello del rospo convinto che il bacio di una principessa, sia pure di rara serbata verginità, lo possa trasformare in principe. Il mio cervello umano resiste ad associare una donna nuda ad un copertone da camion e, nonostante il copertone sia un cerchio con un buco in mezzo, la ragione non intende la relazione che invece percepisce sbavando il mio cervello rettile, semplificatorio, ancestrale, primigenio.

La Pubblicità è immediata, sintetica, chiarissima, elementare ed infantile, ma non è diretta a conquistare la parte razionale dell’uomo, ed in questo sta la sua efficacia. La Pubblicità non contiene alcuna forma di persuasione occulta, non lancia messaggi subliminali. Occulto è il cervello dell’uomo quando funziona al di sotto dei suoi limiti e cioè quando chi ne è dotato lo ritenga un organo spontaneamente innato che non abbia bisogno d’essere coltivato con grande attenzione e massima cura. Bisognerebbe convincersi di un fatto comunemente accettato come evidente e costantemente disatteso nella pratica: il cervello non è la stessa cosa di un rene o di un fegato o di un cuore e non soltanto perché la scienza non ha ancora trovato il modo di farne trapianti.

La Pubblicità è l’unico vero linguaggio universale oggi esistente sicché, qualunque siano le attitudini alimentari di un popolo e la sua cultura culinaria, dall’Americano al Cinese, dall’Afgano al Norvegese, tutti aspirano a consumare la stessa bevanda analcolica sulla disponibilità della quale si misura il grado di civiltà di un popolo ed il livello della sua democrazia, raggiunta o raggiungibile.

La Pubblicità è divenuta strumento di tale potenza da essersi trasformata essa stessa in valore, misura dell’esistente. Se si pigliano alcune ballerine brasiliane seminude e si fa loro reclamizzare il Cacao Meravigliao, il pubblico si solleverà se non lo trova nei negozi. La Pubblicità induce il popolo a reclamare dal Mercato un prodotto inesistente, essendogli ormai impossibile credere che la reclamizzazione della sua esistenza possa essere frutto di uno scherzo.

La Pubblicità non potrebbe indurre il pubblico a reclamare dal Mercato alcun prodotto se il popolo, invece di credere, pensasse.

Qualsiasi commento mi parrebbe a questo punto superfluo e decido quindi di chiudere qui le mie riflessioni, anche per evitare di scrivere il solito trattato per mezzo del quale persuadervi che ho ragione e che voglio salvarvi dal male, facendo la propaganda della mia superiore intelligenza e la pubblicità dei suoi prodotti.

 

P.S.

Quanto alle tecniche pubblicitarie, mi permetto di riassumere e trasferire nell’italico costume un testo di Jeremy Smith: "19 TRUCCHI DEI SUPERMERCATI". Come i supermercati riescono a manipolare le persone affinché acquistino più di quanto hanno bisogno. Non ho manipolato il testo in alcun modo in riferimento alla sostanza delle tecniche adottate. Mi sono limitato a sostituire, ad esempio, a "cestino" la parola "carrello" dal momento che nei nostri supermercati ci sono anche i cestini, dove non è necessario introdurre la moneta per goderne, i quali vengono per lo più adoperati dai pochi che si illudono di dover comprare poche cose di poco peso. Ho saltato a piè pari i riferimenti espliciti, ad esempio, ai supermercati Sainsbury's, ai Caffè "Pappagallo Blu", al cuoco Jamie Oliver, all’attrice Prunella Scales, alla catena Tesco, al pollo "Tikka masala" ed a quello "Keralan masala", né li ho tradotti con i nomi degli equivalenti italiani.

Vi prego di credere che i trucchi dei supermercati esauriscono solo una porzione della parte quotidiana delle tattiche pubblicitarie delle quali siamo vittime dolosamente disattente. Al supermercato perdiamo molte battaglie, ma sarà sempre nostra la responsabilità se dovessimo lasciare vincere la guerra a coloro che presumono d’avere ben chiara la strategia totale da adottare per non perdere mai. Forse è ancora possibile aver fede che il bravo consumatore sia in grado di consumare anche loro, purché conservi coscienza di sé, e rimanga zolla che non si lascia polverizzare schiacciato nella folla indifferenziata. Lascio la parola a Jeremy Smith.

Vi mettono a disposizione un carrello. Una ricerca condotta nei supermercati ha scoperto che il 75 per cento di chi ha il carrello per fare la spesa compra sempre qualcosa, in confronto ad appena il 34 per cento di chi non ha il carrello. Se all'entrata del supermercato un membro dello staff porge il carrello ai clienti, non è per fare un favore ai clienti, ma al supermercato.

Frutta "pronta e matura". Poiché i supermercati desiderano che la frutta si conservi il più a lungo possibile sugli scaffali, obbligano i fornitori a raccoglierla acerba, sebbene ciò implichi che non sarà altrettanto buona, dato che gli zuccheri non si sono completamente sviluppati. Essendo abituati all'idea che la frutta è sempre dura quando la compriamo, siamo disposti a pagare un extra per il privilegio di avere frutta matura.

Prezzatura Ingannevole. Il metodo irrazionale della prezzatura pone il prezzo degli articoli diciamo a 4,99 euro invece che a 5,00. Il motivo sta nel tempo necessario per procedere alla memorizzazione. L'arrotondamento verso l'alto implica uno sforzo mentale maggiore rispetto al processo di memorizzazione delle prime cifre. Inoltre, a causa della grande quantità di informazioni che i clienti devono elaborare, il dato del prezzo deve essere immagazzinato in un tempo molto breve. Il modo più conveniente per farlo, in termini di memoria e di attenzione, è quello di ricordare le prime cifre. Così ci illudiamo di spendere meno di quanto non spendiamo in realtà.

Paghi uno e prendi due. È l'offerta che ha dimostrato di aumentare le vendite fino ad oltre il 150 per cento. A dispetto di quel 50 per cento che effettivamente fa risparmiare, questo tipo di operazioni ci inducono a consumare un prodotto in quantità maggiori rispetto alle nostre abitudini, così, quando l'offerta finisce, siamo inclini a comprarne ancora. Ed oltre ad incoraggiarci ad acquistare più di quello che ci serve, queste offerte celano un costo occulto ai danni dei produttori, poiché sono loro, e non il supermercato, a finanziare le promozioni. I supermercati le utilizzano per disfarsi della merce che non vendono.

I bambini. Quando un supermercato reclamizza una linea di prodotti per bambini che proponga, ad esempio, sedicenti versioni più sane dei tipici cibi pronti, come i bocconcini di pollo e la pizza, i piccoli vengono gratificati con un qualche appariscente regalino a condizione di chiedere alle loro mamme che non avessero il tempo di cucinare, di prendere qualcosa di già cucinato in quel supermercato.

All'altezza dello sguardo. I prodotti esposti all'altezza dello sguardo vendono il doppio. Per questa ragione spesso gli articoli costosi vengono messi lì. Se guardate in basso negli scaffali, scoprirete alternative più convenienti. Allo stesso modo, notate dove sono posizionati i prodotti meno sani per bambini: al livello dei loro occhi. È a loro che si vuole vendere, non a voi. I genitori saranno disposti a comprare qualcosa che non avrebbero scelto solo perché i bambini fanno i capricci.

Testimonial famosi. Se un cuoco alla moda afferma che il cibo di un supermercato è buono, o un'attrice amata reputa i prezzi convenienti, il supermercato acquista credibilità.

Prodotti Civetta. I prodotti di prima necessità quali pane, burro, latte e zucchero attirano i consumatori nei supermercati e sono invariabilmente venduti a basso costo per cercare di battere la concorrenza. Noti anche come "prodotti civetta", convincono il cliente che sta facendo un buon affare: i prezzi di questi beni li abbiamo sempre in mente per cui ci si accorge più facilmente degli sconti. Non fatevi ingannare. A questo i supermercati rimediano, alzando i prezzi su altri prodotti di cui non ricordiamo il costo.

Scatola nuova, prodotto vecchio. Se sei stanco del solito prodotto nazionale, perché non assaggiate la nuova specialità regionale? La differenza sta tutta e solo nella confezione.

Assaggi gratuiti. Potete anche non comprare il prodotto che vi hanno appena offerto di assaggiare, ma lo stomaco comincerà a liberare i succhi gastrici, facendovi avvertire di più la fame. Questo vi indurrà ad acquistare del cibo in più, in particolare prodotti pronti e più costosi, che potrete gustare non appena usciti dal supermercato.

Si compra come si legge. Le persone che leggono da sinistra a destra scorrono anche gli scaffali da sinistra a destra. Perciò le varietà più costose di un determinato prodotto si troveranno sulla sinistra, quelle più convenienti sulla destra.

La musica. Per un periodo di due settimane, a giorni alterni, in un reparto che esponeva vini francesi e tedeschi venne diffusa musica francese e tedesca. La musica francese portò i vini francesi a vendere di più di quelli tedeschi, mentre la musica tedesca causò l'effetto opposto. Ma non è solo il tipo di musica ad influire sugli acquisti, conta anche il fattore tempo. Camminiamo compiendo approssimativamente 90 passi al minuto. Una musica al di sotto dei 90 battiti al minuto ci fa rallentare inconsciamente, e ci trattiene più a lungo tra gli scaffali.

Il falso affare. I supermercati promuovono un prodotto ad un prezzo che riporta accanto un prezzo più alto. Voi supponete che abbiano ricavato il prezzo più basso riducendo il più alto, che è quello normale al quale viene venduto il prodotto. In effetti, non vendono mai quel prodotto al prezzo più alto, e noi lo compriamo al prezzo normale, ma siamo convinti d’avere fatto un affare.

Prodotti dal valore aggiunto. Una mela costa 20 centesimi. Ma tagliatela, riponetela in una vaschetta e vendetela come "mela a spicchi" ed essa verrà a costare 99 centesimi, per meno della metà di prodotto. Chi ha così poco tempo da non potersi tagliare una mela?

Le distanze. Per prolungare il tempo che trascorriamo a contatto con i prodotti durante la spesa, i negozi posizionano gli articoli e le marche più richieste in mezzo ai corridoi, assicurandosi così che da qualsiasi direzione il cliente debba passare, ci metterà sempre molto tempo a raggiungerli. Allo stesso modo, i beni di maggior consumo come pane e latte si trovano in fondo al negozio. I clienti devono passare in mezzo a molta merce esposta prima di vederli e ci sono maggiori possibilità che effettuino acquisti dettati dall'impulso.

Iniziative Sociali. [Riporto integralmente il testo dello Smith per rispettare il numero di 19 trucchi. In Italia il sedicesimo trucco non è neppure ipotizzabile]. Dal 1991 la catena Tesco ha istituito il progetto "Computer per le scuole", con cui i buoni acquisto emessi su alcuni prodotti possono essere scambiati con materiale informatico per le scuole locali. Tuttavia, come Ben Laurence scrisse sull'Observer: "Mentre i costi per la Tesco sono modesti, i clienti devono spendere 110,000 sterline in generi alimentari perché una scuola ottenga un modesto PC".

(il profumo del) Pane appena sfornato. I supermercati non producono realmente il pane che vendono, ma intervengono solo sull'ultima fase della lavorazione. Tutta la preparazione e l'impastatura sono realizzate altrove. I supermercati si limitano a scongelare la pasta e la riscaldano fino al punto in cui si diffonde un rassicurante profumo di pane appena sfornato.

Le "Carte Premio", come i supermercati desiderano che le chiamiamo. Facciamo la nostra spesa e ci ricompensano con uno sconto sugli acquisti futuri. Cosa potrebbe esserci di più generoso? Perché spendiamo di più una volta che abbiamo la tessera? Primo, il 42 per cento di noi, nel momento in cui entra in possesso di una tessera, spende più soldi, forse per quella logica sbagliata che ci fa pensare che più compriamo più sconti otterremo e perciò spenderemo meno. Seconda cosa, lo scopo dei buoni sconto, con i quali siamo premiati, non è di indurci a risparmiare denaro, ma di invogliarci a comprare prodotti che normalmente non acquisteremmo. Come uno spacciatore di droga ci fornisce la dose gratis per ridurci alla dipendenza.

Televisione a zona. La TV a circuito chiuso trasmette avvisi pubblicitari in rapporto alla zona del magazzino che vi trovate a visitare. Siccome il 75 per cento delle decisioni riguardo gli acquisti si prendono quando siamo vicini al prodotto, questo stratagemma di marketing rivela tutta la sua potenza.

 

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