Ne esistono diverse forme, tutte ugualmente deprecabili in quanto esprimono un modo di ragionare approssimativo, rozzo, grossolano. Quando si parla di qualunquismo, di solito ci si riferisce a quello che si manifesta in politica, ma capita di incontrarlo anche in ogni altro campo dal momento che è sempre possibile costruire i propri pensieri e le proprie argomentazioni in modo superficiale e semplicistico. In politica, comunque, esiste sia quello di destra che quello di sinistra. Il primo è prodotto dal rifiuto di approfondire i problemi leggendo, studiando, riflettendoci sopra. A parte il caso limite rappresentato da una intelligenza limitata, credo sia da attribuire alla pigrizia mentale oppure all'essere rimasti ad uno stadio infantile dello sviluppo, quello nel quale si ha necessariamente bisogno di delegare a qualcun altro il compito di pensare e di trovare la soluzione dei problemi. Il qualunquista di destra, tanto per fare un esempio concreto, è capace di dire con la massima convinzione che Gianfranco Fini non può essere fascista perché, quando è nato lui, il fascismo non c'era più! Un ragionamento che sta al limite della stupidità, eppure lo sentiamo ripetere spesso, anche da persone di un certo livello. Negli anni di piombo, quelli in cui la lotta politica veniva condotta con le spranghe o con le pistole, in un periodo in cui i "missini" avevano la peggio nelle piazze, ho sentito un qualunquista di destra - al top della gerarchia - ridurre la sua analisi della situazione politica ad una riflessione semplicistica e rozza come questa: "Quello che mi dispiace di più è che nel 1921 eravamo noi a dargliele, mentre adesso siamo noi a prenderle". Per lui il problema non si poneva sul piano delle idee e della cultura, ma su quello manesco del DARLE o PRENDERLE. Non bisogna meravigliarsene, comunque, visto che il modello a cui si ispirava veniva da lontano. Infatti Mussolini scrisse: "Il fascismo nacque da un bisogno di AZIONE e fu AZIONE. Mancava la dottrina ma c'era, a sostituirla, qualcosa di più decisivo, la FEDE".
Il qualunquismo di destra salta subito all'occhio, non c'è bisogno di molta perspicacia per notarlo. Quello di sinistra, invece, è più difficile da rilevare perché si nasconde dietro argomentazioni che sembrano derivate da uno studio attento, da una riflessione approfondita. Ecco perché, a un primo sguardo superficiale, il mondo della sinistra sembrerebbe immune dalla piaga del qualunquismo. Si sarebbe tentati di dire, anzi, che ne è addirittura la negazione. E sembrerebbe dimostrarlo il fatto che a sinistra ci sono molti uomini di cultura. Ma, se si guarda più attentamente, è facile scoprire che le cose non stanno affatto così. Infatti esiste anche un qualunquismo di sinistra che, tra l'altro, è anche più pericoloso di quello di destra perché è nascosto dietro l'apparenza ingannevole del suo opposto. Ad essere qualunquista, nel senso negativo specificato sopra, è il punto di partenza, cioè la premessa a partire dalla quale la sinistra ricava tutte le sue analisi, tutti i suoi ragionamenti, tutti i suoi giudizi. Il mondo viene disegnato semplicisticamente - vale a dire qualunquisticamente - in BIANCO e NERO, da una parte gli SFRUTTATI dall'altra gli SFRUTTATORI, da una parte i BUONI dall'altra i CATTIVI. Una volta stabilito questo, e una volta che si è scelto di schierarsi dalla parte dei BUONI e degli SFRUTTATI, tutto il resto segue automaticamente, vengono accettate anche le conseguenze più terribili, come se fossero un prezzo che merita di essere pagato comunque, vista la nobiltà della causa. La storia recente è lì a dimostrarlo. In nome della difesa degli sfruttati, infatti, sono state compiute le più atroci efferatezze.
È come se una scelta di campo di questo genere, una volta effettuata, costringesse ad essere QUALUNQUISTI anche gli uomini in possesso di una cultura di altissimo livello. Sembrerebbe una contraddizione in termini, ma non è così. Ludovico Geymonat, per esempio, ha curato una imponente "Storia del pensiero filosofico e scientifico" in 7 volumi, ed era anche il maggiore epistemologo italiano, eppure era un "leninista" convinto. Voi direte: "Ma cosa c'entra, questo, con il qualunquismo?". Provo a spiegarlo. Tutta la sua intelligenza e tutta la sua cultura non gli hanno impedito di chiudere gli occhi di fronte allo strettissimo rapporto di causa-effetto esistente tra le idee di Lenin e gli orrori di Stalin. A parte il fatto, poi, che anche Lenin non scherzava affatto quando si trattava di usare la violenza, il terrorismo politico e la repressione poliziesca. Eppure, nonostante questa notissima verità storica, Geymonat e tantissimi altri intellettuali erano marxisti-leninisti. Alcuni lo sono ancora oggi, anche se non si definiscono più MARXISTI perché gli eventi storici hanno caricato questo aggettivo di significati troppo negativi. Adesso tentano di rifarsi una verginità culturale definendosi MARXIANI, cioè riesumando il termine storicamente meno compromesso con il quale nell'800 erano indicati i seguaci di Karl Marx. Io li consiglierei di fare un ulteriore cambiamento, cioè di sostituire la "X" con la "Z". In questo modo porterebbero a vero compimento il processo di ALIENAZIONE :-)
A parte le battute scherzose, spero di essere riuscito a spiegare cosa intendo quando parlo di QUALUNQUISMO degli intellettuali di sinistra. Se però non fossi stato del tutto convincente, chi ha ancora dei dubbi clicchi pure qui Geymonat . Troverà tutte le citazioni necessarie per convincere anche i possibili San Tommaso. In ogni caso vi consiglio di andare a leggere, è davvero istruttivo e sarebbe anche divertente se non fosse ancora viva l'eco del dramma storico prodotto dalle teorie marxiste-leniniste-staliniste.
Detto questo, comunque, è difficile negare che a sinistra esiste anche l'altro qualunquismo, quello di basso livello culturale, quello che si alimenta di semplificazioni rozze e di argomentazioni palesemente infondate che però acquistano l'apparenza di verità grazie alla tecnica della ripetizione propagandistica ossessiva. Eccone alcuni pochi esempi che però potrebbero essere moltiplicati a piacere.
Chi ha qualche annetto sulle spalle ricorderà di sicuro uno degli slogan di maggiore successo nelle lotte sindacali di allora, quello che affermava essere il salario una "variabile indipendente" del processo produttivo.
Quante volte ci siamo sentiti ripetere quell'altro inossidabile slogan secondo il quale i comunisti sono democratici perché hanno combattuto il fascismo e il nazismo? È un'argomentazione la cui illogicità è evidente, ma se provavi a contestarla, il minimo che poteva capitarti era di essere bollato come "provocatore".
Per quanto riguarda il presente, basti pensare alla immediatezza con la quale ti etichettano come "fascista" e "repressivo" appena ti azzardi a fare presente che ogni gioco ha delle REGOLE che vanno rispettate. Maurizio Costanzoshow, il prototipo dei "progressisti", si infiamma di sacro entusiasmo quando afferma che il motto della sua vita è sempre stato VIETATO VIETARE. Peccato che - sulla base di questa pedagogia che va per la maggiore da molti anni ormai - abbiamo cresciuto una gioventù in mezzo alla quale si sta diffondendo sempre più il teppismo e la violenza. Non lo denunciano i bollettini parrocchiali, lo denuncia l'Espresso del 14 marzo 2002, cioè una rivista sicuramente non collocabile a destra. Per chi non lo avesse letto, ecco il titolo dell'articolo: "Devastazioni. Furti. Violenza sui più deboli. Nelle aule italiane si moltiplicano gli episodi di teppismo. Nell'impotenza generale".
Solo di passaggio, inoltre, vorrei dire che Maurizio Costanzoshow è così democratico che sistematicamente toglie la parola a chi sostiene tesi che lo infastidiscono per un motivo qualsiasi. L'ultimo caso ieri sera, 3 aprile 2002. L'avvocato Carlo Grosso (legale di Annamaria Franzoni, delitto di Cogne) ha tentato inutilmente due volte di stigmatizzare la buriana mediatica (così l'ha definita) creata dai giornalisti sopra quel caso di cronaca, ma ogni volta il Maurizio nazionale gli ha impedito di completare l'esposizione del suo pensiero solo perché questo suonava come critica del comportamento dei suoi colleghi di corporazione. È un riflesso condizionato che non manca mai di scattare nei giornalisti appena qualcuno si permette di criticare la categoria.
Altrettanto rapidamente vieni etichettato come "razzista" appena accenni a sostenere che a scuola è necessario distinguere chi è bravo da chi non lo è, altrimenti prima o poi finisci per incontrare un professore universitario che attribuisce a S. Freud il pensiero di J.J. Rousseau. Incredibile ma vero, è capitato a me personalmente durante un esame. Ma proseguiamo. Se sei per la bocciatura dei somari, subito ti dicono che sei, oltreché razzista, per il mantenimento della selezione di classe che perpetua i privilegi dei ricchi e penalizza i poveri. Che, poi, la selezione di classe non scompaia affatto quando si promuovono tutti - in quanto i figli dei ricchi vanno ad iscriversi nelle costose scuole di prestigio - a loro non importa un fico secco. A loro basta sentirsi BUONI, GIUSTI, dalla parte degli ESCLUSI e degli OPPRESSI.
E i graffiti orrendi, caotici - e oramai autoannulantisi in quanto si sovrappongono a strati - che deturpano i muri, le carrozze delle metropolitane e quelle dei treni? Semplice, sono "Espressioni artistiche della libera creatività", "Ridanno colore e vita al grigiore opprimente delle nostre città alienanti e alienate". E se ti permetti di dissentire, sei uno sporco reazionario, chiuso e ancorato a schemi rigidi, sorpassati.
Adesso che ho chiarito, spero a sufficienza, qual è la mia posizione nei confronti del QUALUNQUISMO di destra o di sinistra, posso permettermi di lanciare una provocazione sostenendo che, a mio avviso, nel campo della cultura sarebbe auspicabile la comparsa di un SANO qualunquismo. Ma spiegherò nel prossimo articolo quello che intendo dire.